mercoledì 1 aprile 2020

E venne chiamata due cuori – Marlo Morgan

Sono vent’anni che una persona mi parlò di questo racconto autobiografico, unico nel suo genere, come di un viaggio prezioso, che apriva gli occhi troppo chiusi di un presente annichilito dal progresso e dal profitto.
Confermo tutto! Dopo averlo letto, anzi divorato, non posso che confermare.
Si tratta del racconto autobiografico che l’autrice, giornalista americana di mezza età, offre della straordinaria esperienza trascorsa con una tribù aborigena vagando per il bush australiano e vivendo secondo le tradizioni millenarie di questo popolo sconosciuto e divorato dalla civiltà.
La trama è essenziale, perché i colpi di scena sono più emotivi che materiali, la crescita è più mentale che fisica, offendo molti elementi per riconoscere in questo lavoro un romanzo di formazione più che autobiografico.
La protagonista racconta di questo viaggio, che comincia con una scelta intrigante, la possibilità di aprire una porta e guardarci dentro, scoprendo aspetti della propria cscienza che mai avrebbe immaginato, limiti oltre il quale non avrebbe mai scommeso di poter portare il proprio corpo, guidata da una saggezza e da una esperienza senza uguali: l’incertezza e l’imprevisto, sconfitti dalla fede in un equilibrio millenario, dove le nostre frenesie sono nulla e la natura è tutto. La storia è un trionfo di vita e di ottimismo, di sincera fiducia che sconfigge le oscure paure, di umiltà contro forza, di fede contro ragione, di vita contro morte.
Questo libro, come una mappa, indica una strada, e lascia ad ognuno l’opportunità di seguirla per cercare quel tesoro che si nasconde nel magico equilibrio della vita.
Si legge bene, è veloce, entusiasmante e ti costringe a rileggere alcuni passi per lo spessore delle riflessioni, nonché per la bellezza del contesto nel quale tutto è ambientato.
Ecco alcuni passi particolarmente suggestivi:

Scegli con saggezza perché potresti ottenere quello che chiedi.

La tribù della vera gente non crede che noi siamo vittime casuali, ed è convinta che il corpo fisico sia l’unico mezzo che il nostro più elevato livello di consapevolezza eterna ha per comunicare con la nostra consapevolezza intellettuale. Un rallentamento delle funzioni del corpo ci permette di esaminarci a fondo e di analizzare le ferite davvero importanti che bisogna medicare: rapporti interpersonali falsati, mancanza di credo, tumori da paura, dubbi sul nostro Creatore, perdita di capacità di perdonare e così via.

Spesso è molto difficile per un uomo lasciar andare qualcosa che gli appartiene, ma il serpente non è da considerarsi migliore o peggiore solo perché si libera della vecchia pelle. Compie semplicemente un’azione necessaria. Solo liberandosi delle cose vecchie si fa spazio alle nuove, ed è un fatto che il serpente sembra e si sente più giovane quando si libera del suo vecchio bagaglio.

I miei amici erano maestri nel fondersi con l’universo, utilizzarlo e quindi abbandonarlo senza averlo turbato in alcun modo.

Gli aborigeni sostengono di aver vissuto qui da sempre e gli scienziati sanno che abitano l’Australia da almeno cinquantamila anni. E’ davvero sorprendente che dopo cinquantamila anni la Vera Gente non abbia distrutto le foreste, inquinato i corsi d’acqua, messo in pericolo alcuna specie vivente e causato alcuna contaminazione, senza restare mai a corto di cibo e riparo. Hanno riso molto e pianto pochissimo. Vivono un’esistenza lunga, produttiva e sana, e la abbandonano piena di fiducia.

Inutile dire che mi è piaciuto tantissimo e ne consiglio, anzi ne raccomando, la lettura veramente a tutti per l’opportunità di riflessione in grado di offrire. Lettura indispensabile, capace di superare il concetto di bello o brutto, fondamentale per accettare l’importanza della natura e dell’equilibrio nella vita di un intero sistema.

Se fosse una canzone, “Adiemus” di Enya.

lunedì 5 agosto 2019

L’ospite del senatore Horton – Clifford D. Simak

Confesso di non essere un fan sfegatato del genere fantascientifico, forse perché uno dei requisiti essenziali è quello di avere una fantasia molto elastica in grado di entrare nelle storie più assurde ed impensabili.
Questo romanzo però, pur essendo di fantascienza è qualcosa di diverso, e pur essendo spaziale, futuristico e ad oggi praticamente fantastico è estremamente concreto e credibile.
E’ la storia di Blake, astronauta di un prossimo remoto futuro rinvenuto in una capsula spedita nel cosmo secoli prima e data per dispersa, definitivamente dimenticata con lo scopo di quella incredibile missione. Riportato sulla Terra e con i ricordi terribilmente confusi, anche da alcuni strani fenomeni di confusione della personalità il protagonista si trova a vagare in un bosco, raggiungendo per caso la casa del senatore Horton un politico attivo nella conservazione etica dell’umanità.
La storia si articola e si complica con nuove graduali scoperte circa il passato del protagonista, anche grazie alla casuale (casuale??) comparsa di strane creature, i brunetti, arrivate dallo spazio e stabilitesi in modo molto appartato nei boschi poco frequentati. Grazie a costoro il protagonista scopre la propria natura e quanto custodito nella propria coscienza: non più un uomo confuso, ma il risultato di un progetto, complesso e complicato naufragato ancor prima di iniziare.
Non ci sono cattivi, o forse non più, perché la tematica centrale è più etica che fantascientifica, in quanto la storia è solo la conseguenza di scelte folli di secoli prima. Blake è reale, vivo, cosciente e consapevole della propria diversità, ma sicuramente non complice di un risultato che nemmeno lui avrebbe voluto.
Lettura bellissima e avvicente, di facile scorrevolezza che non trasporta il lettore in pianeti alla Guerre Stellari, ma semplicemente stuzzica riflessioni e angosce terribilmente attuali.
Un passo particolamente suggestivo:
Senza intelligenza, tutta la materia, tutta l’energia, tutto il vuoto, erano cose prive di conseguenza, perché non avevano un significato. Solo l’intyelligenza poteva dare un significato alla materia e all’energia.
Comunque, penso Blake, sarebbe stato bello avwere un punto di approdo in mezzo a tutto quel vuoto.Guardare un particolare ammasso di energia e poter dire: “Quella è casa mia”,

Se fosse una canzone, “Welcome home (Sanitarium)” dei Metallica nella versione live Stockholm del 7 maggio 2018.

giovedì 28 febbraio 2019

La casa sull’abisso – William Hope Hodgson

Questo romanzo scritto nel 1908 è a tutti gli effetti una pietra miliare della letteratura onirico/fantascentifica, in quanto propone per primo tematiche che nei decenni successivi incendieranno letteralmente questi generi.
Non c’è solo paura, ma anche azione vera e suggestione fantascientifica sugellate in una narrazione serrata e incantevole.
La storia prende in esame il rinvenimento da parte di due campeggiatori nella brughiera nord-irlandese di un vecchio manoscritto, ritrovato da questi, tra i ruderi di una vecchia costruzione presente su uno sperone di roccia affacciato su un oscuro e profondissimo abisso. Il romanzo è la lettura di questo documento autobiografico, nel quale l’ultimo abitante della casa racconta una serie di fenomeni avvenuti a partire dalla notte del venti gennaio di molti decenni prima, sempre più inspiegabili e terrificanti nei quali la casa manifesta la sua vera natura in grado di turbare e sconvolgere per la presenza sempre più ingombrante e malefica dell’abisso sul quale è costruita. La fonte del male è quella, che con la sua oscurità tiene in assedio il misterioso narratore in una dimensione fatta di angoscia e paura allo stato puro. Il narratore vede con i proprio occhi e vive sulla propria pelle il confine sottile tra lucidità e pazzia in una dimensione dove tempo, luogo, angoscia e paura si fondono in un tutt’uno.
Il romanzo è molto breve, ma la lettura è velocissima per la sua rappresentazione estremamente incalzante e serrata. Magistrale il racconto dell’assedio da parte delle creature umanoidi, degno di uno dei migliori romanzi action di Ellmore…
Nel romanzo sono pressochè assenti i dialoghi e il silenzio con lo spietato confronto con la coscienza del narratore rende l’atmosfera ancora più spaventosa e angosciante: l’angoscia infatti è uno dei veri protagonisti di questo libro, che strangola tutti, dal narratore ai due campeggiatori. La conclusione trasmette al lettore un senso di sollievo, come in quei film horror dove lo spettatore esorcizza la propria paura con l’assoluta certezza che egli al posto del protagonista non si sarebbe mai cacciato in un guaio del genere: i campeggiatori protagonisti sono infatti tutti i lettori, e il riconoscersi in modo così diretto trasmette ancora più paura per la minaccia che incombe nascosta nella nebbia intorno a quell’oscura voragine.
Mi è piaciuto tantissimo e ne consiglio la lettura veramente a tutti per l’incredibile capacità dell’autore di offrire tematiche estremamente attuali e “alla moda” nonostante il romanzo sia stato scritto nel 1908.
Meraviglioso l’intreccio iniziale con il ritrovamento del manoscritto, la successiva sua lettura e l’angosciante e indimenticabile finale.
Ripropongo un passo:

Ora eravamo nel folto degli alberi, e io mi guardavo attorno con apprensione; ma non vedevo altro che rami, tronchi immobili e cespugli aggrovigliati. Proseguimmo ancora, e nessun rumore ruppe il silenzio, fuorché, ogni tanto, lo scricchiolio di un ramo spezzato sotto i nostri piedi. Pure, nonostante il silenzio, avevo l'orribile sensazione che non fossimo soli; e camminavo così vicino a Tonnison che un paio di volte lo feci addirittura
inciampare; ma non protestò. Un minuto, un altro, e finalmente eccoci fuori della boscaglia, nel nudo paesaggio roccioso. Soltanto allora riuscii a scuotermi di dosso la paura che mi attanagliava nel bosco. Ancora una volta, mentre ci allontanavamo, mi parve di udire un lamento lontano, e mi dissi che forse era il vento, benché la sera fosse immobile.[…] Non sarei disposto a trascorrere la notte laggiù per tutto l'oro del mondo. Laggiù c'è qualcosa d'impuro... di diabolico. È un'impressione che ho provato all'improvviso, quando tu hai parlato. Mi è parso che il giardino fosse pieno di presenze abbiette... mi capisci?

Se fosse una canzone, “Back in black” degli ACDC

venerdì 11 gennaio 2019

I fiumi scendevano a oriente – Leonard Clark

Questo romanzo è il viaggio d’avventura per eccellenza, rafforzato dal maestoso connotato autobiografico e assolutamente travolgente per il lettore, che rimane “prigioniero” di una lettura lunghissima, che aumenta continuamente il senso di curiosità, ma anche di opprimente claustrofobia.
Clark propone al mondo la propria esperienza giovanile di ricerca folle e disperata, del più infantile dei sogni, la ricerca di un tesoro, che nel suo caso è “Il Tesoro”, quello più grande, ambito, ricercato, insanguinato, perduto, nascosto, sognato, non trovato, mai esistito, leggendario di tutti i tempi: l’El Dorado, la città d’oro degli Incas.
Clark con in mano pochissimi soldi, un equipaggiamento scarno, una mappa, che come tutte le mappe è “autentica”, parte da Lima negli ‘40 per spingersi verso est nelle remote regioni inesplorate dell’Amazzonia.
Ad accompagnarlo nella delirante follia, una guida peruviana di nome Jorge, che con stupefacente forza e costanza guida il suo compagno nella più nobile delle missioni: cercare contatti con i temili “brujos”, shamani in possesso di pozioni miracolose per trovare cure medicali che la medicina non riesce a raggiungere attraverso i percorsi tradizionali della scienza. Ovviamente, la bugia deve tenere nascosto il vero obiettivo, in quanto sarebbe solo una minaccia in più per il protagonista.
Comincia così un viaggio incredibile in un crescendo di difficoltà fatte di foreste impenetrabili, serpenti velenosi, piogge torrenziali, ma soprattutto popolazioni che di umano hanno soltanto le sembianze: usi, costumi, tradizioni, ma soprattutto un’incredibile violenza, fatta di sangue e assenza assoluta del concetto di pietà. Si assiste quindi a punizioni tribali, torture, mutilazioni, uccisioni, decapitazioni, pratiche di riduzione di teste mozzate, proposte in modo assolutamente originale, ma sempre fastidioso e disgustoso… purtroppo la considerazione che sia tutto successo davvero non distrae mai il lettore.
La lettura è lunga e spesso si percepisce la volontà dell’autore a rallentarne il ritmo, perché una delle minacce più spaventose è stata proprio l’isolamento temporale in una dimensione nella quale lo scorrere stesso del tempo subiva accelerazioni improvvise o sfiancanti rallentamenti.
Il romanzo, entusiasma, spaventa, annoia, incuriosisce, suscitando emozioni continue che non fanno abbandonare mai la lettura. Soprattutto fa riflettere molto su concetti quali libertà, identità culturale, tradizioni, vita/morte, ma prima su tutte la sete di ricchezza (soldi, fama, successo) quale motivazione per mettere in discussione la propria vita, subordinandola come sacrificio per giusta causa al mitico traguardo.
Mi è piaciuto, ma non posso dire che sia una lettura semplice, in quanto pur parlando di un viaggio, non si riesce a classificare come romanzo di viaggio, in quanto troppi elementi prevalgono sulle intenzioni del protagonista.
Se fosse una canzone, “Run to the hills” degli Iron Maiden.

martedì 22 maggio 2018

Piemonte rurale – Enrico Bertone

Si tratta di un bellissimo saggio sulle tradizioni tipiche della vita contadina del Piemonte. Maggior valore all’opera viene anche offerta dalle numerose fotografie, nonché dalla ricca nota bibliografica, nella quale trovare tutti gli approfondimenti che il lettore volesse cercare.
L’analisi argomentativa è fatta molto bene e propone in termini semplici, ma anche efficaci e coinvolgenti la ricostruzione della vita contadina di un passato che fino a pochi anni fa costituiva il presente da diversi secoli. Si osservano infatti le commissioni tra la vita quotidiana e la religione, la vera maestra di vita che ha costruito la nostra società, forgiando coscienze e tradizioni, cultura e istruzione.
Nel libro vengono proposti approfondimenti su religiosità, abitudini, celebrazioni, eventi, raccontando come questi fattori muovessero la vita quotidiana della società agricola, fatta di fatiche, sacrifici, ma anche feste, ricorrenze, tradizioni, espressioni di fede, e tutto ciò che colorava la vita di chi è venuto prima di noi. Molte di queste tradizioni vivono ancora, ma il confronto con la società del terzo millennio le rendono sempre più anacronistiche, fuori moda, fuori tempo, lontane dal modello sociale contemporaneo che vuole la società in primo luogo laica, ma soprattutto anticristiana come dimostrazione di emancipazione e progresso.
La lettura ripropone i temi come un valore prezioso, da conservare, da proteggere e di cui essere fieri ed orgogliosi. Scorrevole, curioso e appassionato è un libro al quale ci si affeziona riconoscendo molte volte racconti di nonni e anziani che certe realtà le vissero dal vivo.
Se fosse una canzone “The Sound of Silence” interpretata dalla piccola Jadyn Rylee.